In Inghilterra il Dipartimento per la Salute vara un piano d'attacco per contenere l'obesità infantile nei prossimi dieci anni.
E' con poche idee ma molto chiare e soprattutto con una netta richiesta di presa in carico da parte di tutte le parti sociali che, a vario titolo, hanno la responsabilità di garantire e preservare la salute delle future generazioni, che il governo inglese nel Dipartimento di Salute Pubblica, ha varato un piano generale per il contenimento della pandemia del nuovo millennio, l'obesità infantile. Il punto cruciale del piano è chiarire bene cosa significhi, in termini di salute pubblica, per le generazioni di domani, avere oggi un problema di obesità e maturare una nuova coscienza civile, estesa a vari livelli, rispetto al problema.
La diffussione di questa condizione, anche in ambito pediatrico, è tale da stabilire da sola il primato come fattore di rischio per complicanze metaboliche correlate, cardiovascolari, maggiore incidenza di alcune forme di tumore. Inoltre tra gli aspetti che riguardano soprattutto i più giovani, ci sono le conseguenze legate a disagi di ordine socio comportamentale, disabilità psicomotoria, senso di disistima e di inferiorità, difficoltà nelle relazioni tra simili, alterazioni della sfera emotiva. Da un punto di vista strettamente alimentare, la globalizzazione nei paesi occidentali, ha determinato un livellamento delle scelte alimentari ed un generale aumento degli apporti calorici mettendo a portata di tasca e di mano, anche per i più giovani e ben oltre i livelli raccomandati, ogni genere di confort food con un' aumentata presenza di zuccheri semplici, grassi saturi e grassi trans, tipici delle preparazioni alimentari industriali, sale cioè sodio anche sotto forma di esaltatori di sapidità ed una infinita gamma di edulcoranti, aromi, condimenti. E' facile comprendere come, nel brevissimo tempo, si venga meno alle linee guida della corretta alimentazione, la quale dovrebbe essere prima di tutto costituita da cibi freschi, bilanciata, cioè garantire l'apporto di macro e micro-nutrienti indispensabili nelle giuste quantità e possibilmente tipici della tradizione culturale e geografica di un luogo. Basta camminare in giro per le strade ed osservare quale sia l'offerta di cibo per quantità e qualità.
L' Inghilterra da sempre è ai primi posti in fatto di multi-culturalità; il tessuto sociale è variegato, multietnico, complesso anche dal punto di vista alimentare e tutto ciò lo si vede ben rappresentato anche nel cibo. Ma quale cibo ? Non sono certo le tradizioni dei singoli paesi ad essere messe in discussione ma il così detto “cibo spazzatura" o junk food che si è declinato nelle diverse varietà di “flavour”, prendendo le sembianze delle diverse etnie gastronomiche ma ahimè mantenendo inalterata la pessima qualità nutrizionale. Poco importa se il panino o lo snack abbia la forma di un hot dog americano, di un samosa indiano o di un sushi giapponese; il punto è che i costituenti nutritivi sono gli stessi. In questo panorama si cominciano però a vedere chiari segni di cambiamento. Vorrei citarne uno che mi è sembrato molto significativo e mi ha molto colpito, appena di ritorno da Londra dove ho trascorso qualche giorno. Sono sempre più numerosi, punti vendita e catene che offrono una proposta alimentare diversa, solo in apparenza equiparabile a quella consueta dei junk food ma che a ben vedere si contraddistingue per gli alimenti freschi, come frutta e dolci della tradizione sfornati e venduti a taglio o preparati con yogurt e cereali. Anche il classico panino prevede l'uso di pane comune non condito, spesso integrale o arricchito con semi, insalate, carni magre come pollo o tacchino o prosciutto, per lo più assenza di salse. Ovvio, non mancano anche le indimenticabili chips e a tutti i gusti possibili ma sono offerte in mini pocket così da non eccedere nella razione. I succhi di frutta anche non mancano insieme a centrifugati e spremute fresche e si possono acquistare pacchettini di frutta secca ed essiccata, oltre a tè e caffè del commercio equo. Insomma un cono di luce sembra essersi aperto nel buio e con una punta di sensibilità anche per quei canali di distribuzione del cibo che rappresentano scelte importanti di sostenibilità e senz'altro da incentivare, come il “fair trade”.